RICONOSCIMENTO
DI MILITARI BELLIGERANTI AI
COMBATTENTI DELLA RSI
Giuliano Pansa è
uno scrittore orgogliosamente
antifascista che negli ultimi
quattro anni ha pubblicato, tra
gli altri, due libri che hanno per
tema gli anni della guerra civile
italiana del 1943-1945: lo ha
fatto squarciando la cortina di
silenzio sull’altra faccia della
guerra che ha diviso in due
l’Italia.
“I figli
dell’Aquila” e il “Sangue
dei vinti”, così si intitolano
i due testi che ripercorrono le
vicende di quei tanti giovani che
nell’Italia dell’autunno 1943,
scelsero di combattere
nell’esercito della Repubblica
Sociale Italiana.
Erano appunto i
figli dell’Aquila, lo stemma
ufficiale del nuovo governo di
Mussolini, i giovanissimi
militanti fascisti, i ragazzi
comuni che volevano difendere la
patria dagli invasori e riscattare
il disonore dell’8 settembre.
Ragazzi cresciuti
ed educati per vent’anni nel
fascismo, che il 25 luglio del
1943 si erano visti crollare
addosso l’unico mondo che
conoscevano: proprio per questo,
come ha ricordato più volte lo
storico De Felice, in molti casi
si è trattato non di una scelta
ideologica ma di una scelta di
continuità.
Una scelta che fecero in molti,
ancora giovanissimi, tra i quali
gli attori Giorgio Albertazzi,
Raimondo Vianello, Walter Chiari,
il premio nobel Dario Fo.
Furono i due anni
peggiori della storia della nostra
patria: una spirale di brutalità
e di vendette contrapposte, di
agguati, di rastrellamenti, di
esecuzioni, di torture, di stupri,
di rappresaglie, da una parte e
dall’altra, che si prolungherà
ben oltre il 25 aprile del 1945,
con i massacri dei prigionieri
fascisti e con l’eliminazione di
quanti si erano schierati con la
Repubblica sociale italiana: il
sangue versato dai vinti descritto
abilmente da Pansa.
Sono passati
sessant’anni. Il trascorrere del
tempo e la necessità di una
pacificazione nazionale ci
impongono il dovere di analizzare
con una maggiore obiettività gli
eventi drammatici di allora.
Proprio per questo,
il disegno di legge presentato da
Alleanza Nazionale prescinde da
qualsiasi considerazione di
carattere ideologico, ma in virtù
della corretta integrazione dei
diritti e dei riconoscimenti
giurisprudenziali, intende
estendere la qualifica di militari
belligeranti anche a coloro che
tra il 1943 e il 1945 risultarono
inquadrati nelle formazioni
militari della Repubblica Sociale
Italiana, sia come volontari, sia
come militari di leva o
richiamati.
Una sentenza del
Tribunale Supremo Militare della
Repubblica italiana del 1954, ha
infatti riconosciuto come
legittimo il Governo della
Repubblica sociale italiana.
Inoltre il Governo
di Salò era riconosciuto
legittimo non solo dalla Germania
o dal Giappone ma anche dagli
Alleati, all’epoca nemici, al
punto che i militari della RSI
catturati, godevano
dell’applicazione delle regole
previste dalla Convenzione di
Ginevra sui militari prigionieri
di guerra.
Per tali ragioni,
dunque, non è possibile – come
qualcuno vorrebbe far credere –
invocare la illegittimità del
Governo della RSI in base alla
quale fare discernere un principio
di disconoscimento delle sue Forze
Armate.
La discriminazione
in atto, perpetua sul terreno
legislativo e su quello del
diritto, uno stato di cose che non
trova più alcuna corrispondenza
nella coscienza pubblica e
soprattutto nell’animo dei
combattenti di tutti i fronti, che
da anni invocano l’abolizione di
ogni penalizzazione in seno alla
famiglia del combattentismo.
Nonostante
l’orientamento generale di
operare una pacificazione
nazionale, che riconosca a tutti
coloro che hanno combattuto il
merito di aver affrontato lo
stesso rischio sul campo di
battaglia, ancor oggi, dunque, si
nega ai combattenti della RSI,
quella qualifica che –
giustamente - è stata
riconosciuta dal generale Franco a
coloro che nella guerra civile
spagnola hanno combattuto contro
di lui nelle brigate
internazionali.
Nella stessa Italia
i benefici a favore dei
combattenti sono stati
riconosciuti anche a quegli
altoatesini che, volontariamente,
combatterono nell’esercito
tedesco di Hitler, e che a
conflitto finito si dichiararono
nuovamente cittadini italiani.
Non ha senso che
gli stessi benefici vengano ancora
oggi negati a quegli italiani che,
nella continuità della alleanza
con cui avevano iniziato la
guerra, non accettarono mai di
vestire una divisa straniera.
Abbiamo assistito
per troppo tempo alla vergogna di
chi percepiva benefici
pensionistici dallo Stato italiano
per aver combattuto nelle
formazioni partigiane del IX
Corpus iugoslavo agli ordini del
Maresciallo Tito.
I giovani che
combatterono nella Repubblica
Sociale Italiana, giurarono fedeltà
all’Italia e non a Mussolini e
neppure al Partito fascista
repubblicano.
Non indossavano la camicia nera:
erano gli ultimi in grigioverde,
truppe regolari.
Se crediamo davvero
di essere considerati la culla del
diritto e della civiltà, non
possiamo continuare con la
discriminazione perpetrata ai
danni di chi ha combattuto la
guerra dalla parte dei vinti.
Chi ha combattuto,
al Nord come al Sud, da decenni
convive ormai nella stessa
famiglia delle associazioni
d’Arma e sentono ciascuno di
aver fatto per intero il loro
dovere.
L’odio di allora
alimentato dalla classe politica
del nostro recente passato, non
deve essere tramandato alle nuove
generazioni.
Purtroppo oggi la
sinistra, in nome di un rinnovato
antifascismo militante, sembra
essersi dimenticata delle parole
espresse pochi anni fa dal
Presidente della camera Luciano
Violante in favore dei ragazzi di
Salò.
Alleanza Nazionale
chiede alla sinistra di essere
almeno coerente con se stessa: non
si può invocare l’antifascismo
per respingere il semplice
riconoscimento di belligeranti ai
superstiti ultra settantenni di
quegli anni e dimenticarsi in un
solo colpo della Resistenza,
dell’antifascismo e dei
partigiani autenticando e firmando
le liste della nipote del
Duce del fascismo.
Cesano Boscone
11/04/05
Santi Raimondo
(capogruppo A.N.)
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